lunedì 29 dicembre 2008

"Oceano mare", citazioni - 1

LIBRO PRIMO, CAPITOLO I
Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare - il mare - nell'aria fredda di un pomeriggio quiasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord.
La spiaggia. E il mare.
Potrebbe essere la perfezione - immagine per occhi divini - mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera dinita ed esatta, verità - verità - ma ancora una volta è il salvifico granello dell'uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un'inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfesione della spiaggia sterminata. A vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore.
Il cavalletto è ancorato con corde sottili a quattro sassi posati nella sabbia. Oscilla impercettibilmente al vento che sempre soffia da nord. L'uomo porta alti stivali e una grande giacca da pescatore. Sta in piedi, di fronte al mare, rigirando tra le dita un pennello sottole. Sul cavalletto, una tela.
E' come una sentinella - questo bisogna capirlo - in piedi a difendere quella porzione di mondo dall'invazione silenziosa della perfezione, piccola incrinatura che sgretola quella spettacolare scenografia dell'essere. Giacchè sempre è così, basta il barlume di un uomo a ferire il riposo di ciò che sarebbe un attimo dal diventare verità e invece immediatamente torna ad essere attesa e domanda, per il remplice e infinito potere di quell'uomo che è feritoia e spiraglio, porta piccola da cui rientrano storie a fiumi e l'immane repertorio di ciò che potrebbe essere, squarcio infinito, ferita meravigliosa, sentiero di passi a migliaia dove nulla più potrà essere vero ma tutto sarà - proprio come sono i passi di quella donna che avvolta in un mantello viola, il capo coperto, misura lentamente la spiaggia, costeggiando la risacca del mare, e riga da destra a sinistra l'ormai perduta perfezione del grande quadro consimando la distanza che la divide dall'uomo e dal suo cavalletto fino a giungere a qualche psso da lui, e poi proprio accanto a lui, dove diventa un nulla fermarsi - e, tacendo, guardare.
L'uomo non si volta neppure. Continua a fissare il mare. Silenzio. Di tanto in tanto intinge il pennello in una tazza di rame e abbozza sulla tela pochi tratti leggeri. Le setole del pennello lasciano dietro di sé l'ombra di una pallidissima oscurità che il vento immediatamente asciuga riportando a galla il bianco di prima. Acqua. Nella tazza di rame c'è solo acqua. E sulla tela, niente. Niente che si possa vedere.
Soffia come semper il venti da nord e la donna si stringe nel suo mantello viola.
- Plasson, sono giorni e giorni che lavorate quaggiù. Cosa vi portate in giro a fare tutti quei colori se non avete il coraggio di usarli?
Questo sembra risvegliarlo. Questo l'ha colpito. Si gira a osservare il volto della donna. E quando parla non è per rispondere.
- Vi prego, non muovetevi -, dice.
Poi avvicina il pennello al volto della donna, esita un attimo, lo appoggia sulle sue labbra e lentamente lo fa scorrere da un angolo all'altro della bocca. Le setole si tingono di rosso carminio. Lui le guarda, le immerge appena nell'acqua, e rialza lo sguardo verso il mare. Sulle labbra della donna rimane lìombra di un sapore che la costringe a pensare "acqua di mare, quest'uomo dipinge il mare con il mare" - ed è un pensiero che dà i brividi.
Lei si è già voltata da tempo, e già sta rimisurando l'immensa spiaggia con il matematico rosario dei suoi passi, uano il vento passa sulla tela ad asciugare uno sbuffo di luce rosea, nudo a galleggiare nel bianco. Si potrebbe stare ore a guardare quel mare, e quel cielo, e tutto quanto, ma non si potrebbe trovare nulla si quel colore. Nulla che si possa vedere.
La marea, da quelle parti, sale prima che arrivi il buio. Poco prima. L'acqua circonda l'uomo e il suo cavalletto, se li piglia, adagio ma con precisione, restano lì, l'uno e l'altro, impassibili, come un'isola in miniatura, o un relitto a due teste.
Plasson, il pittore.
Viene a prenderselo, ogni sera, una barchetta, poco prima del tramonto, che l'acqua li è già arrivata al cuore. E' così che vuole, lui. Sale sulla barchetta, ci carica il cavalletto e tutto, e si lascia riportare a casa.
La sentinella se ne va. Il suo dovere è finito. Scampato pericolo. Si spegne nel tramonto l'icona che ancora una volta non è riuscita a diventare sacra. Tutto per quell'ometto e i suoi pennelli. E ora che se n'è andato, non c'è più tempo. Il buio sospende tutto. Non c'è nulla che possa, nel buio, diventare vero.


CAPITOLO II
- Cosa vedi Edel?
Nella camera della figlia, il barone sta in piedi di fronte alla parete lunga, sena finestre, e parla piano, con una dolcezza antica.
- Cosa vedi?
Tessuto di Borgogna, roba di qualità, e paesaggi come tanti, un lavoro fatto bene.
- Non sono paesaggi qualunque, Edel. O almeno, non lo sono per mia figlia.
Sua figlia.
E' una specie di mistero, ma bisogna cercare di capire, lavorando di fantasia, e dimenticare quel che sis a in modo che l'immaginazione possa vagabondare libera, correndo lontana dentro le cose fino a vedere come l'anima non è sempre siamante ma alle volte velo di seta - questo posso capirlo - immagina un velo di seta trasparente, qualunque cosa potrebbe stracciarlo, anche uno sguardo, e pensa alla mano che lo prende - una mano di donna - sì - si miove lentamente e lo stringe tra le dita, ma stringere è già troppo, lo solleva come se non fosse una mano ma un colpo di vento e lo chiude tra le dita come se non fossero dita ma... - come se non fossero dita ma pensieri. Così. Questa stanza è quella mano, e mia figlia è un velo di seta.
Sì, ho capito.
- Non voglio cascate, Edel, ma la pace di un lago, non voglio querce ma betulle, e quelle montagne in fondo devono diventare colline, e il giorno un tramonto, il vento una brezza, le città paesi, i castelli giardini. E se proprio ci devono esser dei falchi, che almeno volino, e lontano.
Si, ho capito. C'è solo una cosa: e gli uomini?
Il barone tace. Osserva tutti i personaggi dell'enorme tappezzeria, uno ad uno, come a sentire il loro parere. Passa da una parte all'altra, ma nessuno parla. C'era da aspettarselo.
- Edel, c'è un modo di fare degli uomini che non facciano del male?
Se la dece essere chiesta anche Dio, questa, al momento buono.
- Non so. Ma ci proverò.
Nella bottega di Edel Trut lavorarono dei mesi con i chilometri di filo di seta che il barone fece arrivare. Lavorarono in silenzio perchè, diceva Edel, il silenzio doveva entrare nella trama del tessuto. Era un filo come gli altri, solo che non lo vedevi, ma lui c'era. Così lavoravano in silenzio.
Mesi.
Poi un giorno un carro arrivà al palazo del baroe, e sul carro c'era il capolavoro di Edel. Tre enormi rotoli di stoffa che pesavano come croci in processione. Li portarono su per la scalinata e poi lungo i corridoi e di porta in porta fino al cuore del palazzo, nella stanza che li aspettava. Fu un attimo prima che li srotolassero che il barone mormorò
- E gli uomini?
Edel sorrise.
- Se proprio ci devono essere degli uomini, che almeno volino, e lontano.

domenica 28 dicembre 2008

Rivelazioni

Ho appena scoperto che questo blog si vede meglio su Explorer che su Firefox.
Il che mi inquieta alquanto...

Tradurre, che passione

Festeggiamo il centesimo post (olè...)

Come molti di voi ben sapranno, non mi va' di scrivere post di auguri di buon Natale/anno nuovo/Pasqua/Ferragosto/ecc. sia perchè non ne sono capace (l'anno scorso avevo la scusa di aver scoperto come si dice Buon Natale in giapponese, ma quest'anno non ho carte da giocare) sia perchè sembrerei ipocrita, considerando soprattutto le poche persone che lo avrebbero letto e a cui gli auguri li avrei fatti in ogni caso di persona, sia perchè odio con tutta me stessa i luoghi comuni. Ma voglio raccontarvi lo stesso della mia avventura natalizia di quest'anno.

Per questo Natale, avevo deciso di fare la traduzione di una canzone per ogni mio cugino vista la crisi economica che ha colpito anche me (ma per colpa del regalo per il mio ragazzo)

E' stata la prima volta in vita mia che ho tradotto qualcosa al di fuori dello studio, e malgrado la fatica sono più che soddisfatta del risultato ottenuto.

Per darvi un assaggio della mia fatica, vi faccio leggere la mia traduzione di "Metropolis, pt.1: The Miracle and the Sleeper" dei Dream Theater. Spero che vi piaccia (chi volesse copincollarla sul proprio blog, mi avvisi in un commento, plis).


Metropolis, parte I: Il Miracolo e il Dormiente
Il sorriso dell'alba
arrivò all'inizio di maggio
portando un regalo dalla sua casa
La notte lasciò una lacrima
per raccontarci di paura
tristezza e dolore
che non ha mai superato

La morte è la prima danza, eterna

Non c'è più libertà
Entrambi sarete confinati in questa mente

Mi dissero che c'è un miracolo ogni giorni che vivo
Mi dissero che c'è un nuovo amore che nasce per ogni amore che muore
Mi dissero che non c'è nessuno su cui possa contare quando mi sento solo e spaventato
Mi dissero che se sogni il prossimo mondo
ti ritroverai a nuotare in un lago di fuoco

Come un bambino credevo di poter vivere senza dolore, senza tristezza
Come uomo ho scoperto che dipende tutto da me
Sto dormendo, ma sono così spaventato

Da qualche parte come la scena da un ricordo
c'è un'immagine che vale più di mille parole
che elude gli sguardi dei volti davanti a me
si nasconde e non sarà più riascoltata

L'inganno è la seconda senza fine

Il sangue freddo della città ci insegna a sopravvivere
Basta che trattieni il mio cuore nei tuoi occhi e noi resteremo vivi

La terza arriva...

Prima che le foglie siano cadute
prima che chiudiamo le porte
dovrà esserci la terza ed ultima danza
questa durerà per sempre
Metropolis guarda e sorride premurosa
ti sta riportando a casa

Potrà esserci solo
quando la lotta tra i nostri bambini sarà finita
Ora, il Miracolo ed il Dormiente sanno che la terza è l'amore

L'amore è la danza dell'eternità


(ringrazio John Petrucci per il testo e i DT per questa splendida canzone)



Ah sì: tanti auguri a tutti ;-P

sabato 13 dicembre 2008

Village People made in Japan

Dopo una giornata all'insegna della sfiga più totale, la semplice visione di questo video mi ha letteralmente cambiato l'umore.
Sono decisamente i miei nuovi idoli!!!

(Everybody says YATTA!!!)

martedì 9 dicembre 2008

Facebook

Il mondo mi dice che mi devo creare un profilo su Facebook. Il mondo mi dice che è un modo carino di ritrovare gli amici di un tempo, i compagni di scuola, gli amici delle estati passate...
Ma io che non voglio avere NESSUN CONTATTO nè con gli amici di un tempo, nè con i compagni di scuola, nè con gli amici delle estati passate (tranne qualche eccezione, ovviamente), che me lo faccio a fare un profilo su Facebook?

Mah, prima o poi succederà come quando inizialmente mi rifiutai di creare un blog. Aspetterò un po' di tempo, poi rinuncerò anche io.
Attualmente di blog ne ho ben 2, ed è in progetto anche il terzo (ma solo in progetto). Chi mi dice che non creerò anche più profili con Facebook? (sempre se è possibile...)

martedì 2 dicembre 2008

Pubblicità giapponese

...e poi mi chiedete perchè adoro i giapponesi.
Dopo una pubblicità del genere, non potete non amarli anche voi